La carità spirituale

LA CARITÀ SPIRITUALE

Introduzione
1. La carità, in quanto virtù teologale per mezzo della quale amiamo Dio e il prossimo, è dono dello Spirito Santo, e quindi nella sua origine e nella sua natura è sempre spirituale. Se però consideriamo la carità nei suoi frutti e nelle sue opere, possiamo distinguere una carità materiale o corporale, che si prende cura delle necessità materiali del prossimo, e una carità spirituale che si prende a cuore il suo bene spirituale.
2. Fermo restando che una carità autentica non può trascurare le necessità materiali del prossimo, la carità spirituale è più importante della carità materiale, quanto il bene spirituale è più importante del bene materiale, quanto la vita eterna è più preziosa della vita terrena.
3. Per esercitare con profitto la carità spirituale è necessario saper discernere il vero bene spirituale (A), essere coscienti della doverosa urgenza di promuoverlo (B), e utilizzare i mezzi che consentono di conseguirlo (C).

A. IL BENE SPIRITUALE

E’ importante saper discernere il bene spirituale perché i nostri guai non nascono, normalmente, dal fatto che cerchiamo il male in quanto male, ma dal fatto che, credendo di scegliere il bene, ci inganniamo, e finiamo per scegliere il male.
Il bene spirituale può essere compreso e definito a partire:

1. Dalla considerazione della struttura della persona umana
Poiché l’uomo non ha solo una dimensione fisica-materiale (corpo), ma anche una dimensione spirituale (anima), non può accontentarsi soltanto dei beni materiali che appagano il corpo, ma ha bisogno anche dei beni spirituali che appagano l’anima. Poiché le facoltà spirituali dell’anima – l’intelletto, l’affettività e la volontà – si esprimono e si perfezionano nell’amore, possiamo ritenere che il bene spirituale della persona umana sta nell’amore.
“Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione e di amore.
Creandola a sua immagine, Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione” (CCC, 2331).

“L’anima non può vivere senza amore, ma sempre vuole amare qualcosa,
perché è fatta d’amore, avendola io creata per amore” (S. Caterina da Siena, Il Dialogo, c. 50).
2. Dall’esperienza umana
Quando ci soffermiamo a considerare quali siano la motivazione (e cioè la spinta iniziale) e il fine (cioè il punto di arrivo) che determinano tutte le azioni, arriviamo a scoprire che tutti gli uomini tendono alla felicità,
come quel bene perfetto che racchiude in sé tutti i beni desiderabili. Scrive Sant’Agostino:
“Noi tutti certamente bramiamo vivere felici, e tra gli uomini non c’è nessuno che neghi il proprio assenso a questa affermazione” (De moribus Ecclesiae catholicae, 1, 3, 4).
“Tutti gli uomini sono d’accordo nel desiderare come fine ultimo la beatitudine” (De Trinitate, lib. XIII, c. 3).
Poiché l’uomo è fatto per amare e per essere felice, dovremmo attenderci che egli riesca a trovare la sua felicità nell’amore. Ma, sempre l’esperienza, ci mostra che l’infelicità pesa sul cuore della maggior parte delle persone che incontriamo. Perché? I motivi sono sostanzialmente due:
• L’uomo si inganna nella scelta del bene da desiderare e da amare.
• L’uomo non riesce, con le sue sole forze, a raggiungere e custodire il bene che ama.
Dove sta l’origine di questa duplice incapacità umana? Sta nel fatto che l’uomo porta in sé un limite, in quanto creatura, e porta in sé un disordine, in quanto peccatore. Stando così le cose l’uomo può realizzare la sua felicità, raggiungere il suo vero bene solo grazie all’aiuto del suo Creatore, solo grazie alla misericordia del suo Salvatore.

3. Dalla rivelazione divina
La parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa ci rivelano che Dio ci chiama alla Sua beatitudine, e che è Lui, e Lui solo quel bene perfetto che può saziare la sete di amore e di felicità che portiamo nel cuore:
“Ho detto a Dio: Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun bene.
Il Signore è mia parte di eredità.
Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 15, 2. 5. 11).

“Quelli che non hanno Me, non possono saziarsi, anche se possedessero il mondo;
poiché le cose del mondo sono minori dell’uomo, essendo fatte per l’uomo, non l’uomo per esse;
e perciò egli non può essere saziato da loro.
Io solo, lo posso saziare” (S. Caterina da Siena, Il Dialogo della divina provvidenza, c. 48).

“L’innato desiderio di felicità è di origine divina; Dio l’ha messo nel cuore dell’uomo per attirarlo a sé, perché egli solo lo può colmare” (CCC, 1718).

“Ci hai fatti per te, Signore,
e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te” (Sant’Agostino, Confessioni, 1, 1, 1).

“La comunione di vita e di amore con la Santissima Trinità […] è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva” (CCC, 1024).

B. UN COMPITO URGENTE

Dopo aver stabilito che il bene spirituale di ogni creatura umana è conoscere ed amare Dio, come l’unico bene che è capace di dare in pienezza vita-amore-felicità, è necessario saper trarre alcune conseguenze fondamentali da tale verità:
1. Poiché Dio è il sommo bene, tutti gli altri beni di cui possiamo fare esperienza in questa vita terrena, devono essere cercati e usati non come fine, ma come mezzi per raggiungere Lui. La bontà di tutto ciò che Dio ha creato – e che in quanto creato è bene relativo – non deve attirare, occupare, sedurre e legare il nostro cuore fino al punto da impedirci di amare il Creatore, nostro unico bene Assoluto , con un amore assoluto.

2. L’atteggiamento di rispetto nei confronti di chi si inganna riguardo al valore delle cose e al senso della vita, non deve impedirci – pur con la saggezza e la dolcezza che ci insegna il Signore – di annunziare la verità cristiana e di donare una autentica e libera testimonianza evangelica. Purtroppo la cecità di coloro che hanno voltato le spalle al Signore si accompagna spesso all’indifferenza dei cristiani tiepidi.

3. Dal momento che il Signore ama ogni creatura umana, e dal momento che il bene integro e duraturo di tale creatura è il bene spirituale, non c’è amore più grande, tanto per il prossimo quanto per il Signore, che rendersi disponibili per collaborare al conseguimento di tale bene spirituale. E’ quanto il Signore ha rivelato a Santa Caterina da Siena:
“Mi è molto gradito il desiderio vostro di sopportare ogni pena e fatica fino alla morte per la salvezza delle anime. Più l’uomo è paziente, più mostra di amarmi” (Dialogo della divina provvidenza, c. 5).

4. Questa collaborazione al bene spirituale del prossimo è un compito specifico e necessario per ogni discepolo di Cristo:
“La Verità eterna mi mostrava che ci aveva creato senza di noi, ma non ci salverà senza di noi. Essa vuole che noi adoperiamo la nostra libera volontà, usando del tempo nell’esercizio delle vere virtù. Perciò andava dicendo: A voi tutti conviene cercare la gloria e la lode del mio nome nella salvezza delle anime, sostenendo con pena le molte fatiche, seguendo le vestigia di questo dolce ed amoroso Verbo; in altro modo non potrete venire a me” (Santa Caterina da Siena, Il Dialogo della divina provvidenza, c. 23).

C. I MEZZI

Chi vuole promuovere il bene spirituale altrui deve cominciare con l’avere cura del proprio bene spirituale, grazie ad una profonda relazione d’amore con il Signore in cui attingere la gioia di essere Suo, il discernimento per riconoscere la Sua volontà, e la forza per realizzarla.
La carità spirituale, alimentata da questa sorgente divina, può essere esercitata con frutto grazie a:

1. L’esempio
In un mondo che ha fatto dell’immagine il suo idolo e dei mezzi di comunicazione un veicolo potente di vanità e di menzogna, il Signore chiede ai Suoi discepoli di realizzare opere buone e, soprattutto, di amarsi perché gli uomini, vedendo la loro testimonianza, siano aiutati ad aprire il loro cuore a Lui:
“Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte,
né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere
perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone
e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 14-16).
“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me;
perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te,
siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 20-21).
L’esempio è fondamentale anche per la carità spirituale esercitata in famiglia:
“Ugualmente voi, mogli, state sottomesse ai vostri mariti perché,
anche se alcuni si rifiutano di credere alla Parola, vengano conquistati dalla condotta delle mogli,
senza bisogno di parole, considerando la vostra condotta casta e rispettosa” (1 Pt 3, 1-2).

2. La preghiera
L’amore per il Signore genera nell’autentico discepolo cristiano da una parte lo zelo per la gloria di Dio, dall’altra il dolore per le offese a Lui fatte e per il danno dei peccatori:
“Coloro che sono uniti a me per affetto d’amore, si addolorano quando mi offendono, o vedono altri offendermi” (S. Caterina da Siena, il Dialogo della divina provvidenza, c. 1)
Questo amore ferito alimenta la preghiera:
“O carissima figlia, addolorati della mia offesa e piangi su questi morti, affinché con l’orazione venga distrutta la loro morte”.(S. Caterina da Siena, il Dialogo della divina provvidenza, c. 6).
“Accresci perciò il fuoco del tuo desiderio, e non lasciar passare tempo senza gridare dinanzi a me per loro, con voce umile e orazione continua” (S. Caterina da Siena, il Dialogo della divina provvidenza, c. 4).
In che modo il Signore accoglie la preghiera di coloro che chiedono il bene spirituale del prossimo?
“L’orazione e il desiderio dei miei servi sono il mezzo col quale essi (i peccatori) ricevono il frutto della grazia in umiltà […] Che frutto ricevono? Il frutto è che Io li aspetto, costretto dalle orazioni dei miei servi, e do loro luce interiore, e faccio destare in loro il cane della coscienza, e faccio loro sentire l’odore della virtù e il diletto della conversazione dei miei servi. Talvolta permetto ancora che il mondo mostri loro quello che è veramente, sentendo patimenti di diverso e vario genere, affinché conoscano la poca fermezza del mondo e levino in alto il desiderio a cercare la patria loro della vita eterna. In questi e altri modi, che l’occhio non è sufficiente a vedere, la lingua a narrare, o il cuore a pensare, tu vedi quante siano le vie e i modi che Io tengo, solo per amore, per ricondurli alla grazia. A far così sono costretto dalla mia inestimabile carità, con la quale li creai, e dalle orazioni, desideri e dolori dei miei servi, poiché Io non posso disprezzare le lacrime, il sudore e la loro umile orazione, perché anzi li accetto. Io stesso sono colui che li faccio amare e soffrire per il danno delle anime” (Santa Caterina da Siena, Il Dialogo della divina provvidenza, c. 4).
Il fatto che è il Signore stesso a ispirare la preghiera per i peccatori, da un lato ci rivela il Volto dolcissimo della Sua Misericordia, dall’altro ci incoraggia a perseverare. “Pregare Dio per i vivi e per i morti” è la settima opera di misericordia spirituale.

3. La parola
La parola è il mezzo privilegiato della relazione umana, il mezzo che anche Dio ha scelto per rivelarsi a noi. Quando la nostra parola è ispirata dalla carità spirituale, in funzione delle diverse circostanze e necessità può diventare:
a) Annunzio
E’ necessario continuare ad annunziare il Vangelo di Cristo perché, in questa nostra società post-cristiana, sono sempre più numerose le persone che non hanno ancora conosciuto il Signore, oppure l’hanno frainteso o abbandonato. Abbiamo tutti un compito importante nella missione e nella “nuova evangelizzazione”:
“Come potranno credere, senza averne sentito parlare?
E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi?” (Rm 10, 14).
“Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere:
guai a me se non predicassi il vangelo!” (1 Cor 9, 16).
b) Insegnamento
Non basta credere, è necessario nutrire e consolidare la fede con l’insegnamento della “sana dottrina” (cfr. Tt 2, 1). Questo insegnamento è particolarmente importante in questo momento che vede il dilagare dell’ignoranza religiosa anche tra i cristiani, e il moltiplicarsi di movimenti religiosi eterodossi (che presentano cioè dottrine errate): “insegnare agli ignoranti” è la seconda opera di misericordia spirituale.
c) Consiglio
Nel cammino spirituale di ogni cristiano è di capitale importanza realizzare la volontà di Dio; per questo è un prezioso servizio d’amore aiutare a discernere, “consigliare i dubbiosi”: è la prima opera di misericordia spirituale.
d) Conforto
Le sofferenze che la vita riserva a tutti, mettono alla prova la fede: è necessario allora “consolare gli afflitti” (quarta opera di misericordia spirituale), saper piangere con chi piange (cfr. Rm 12, 15), portarne i pesi (cfr. Gal 6, 2) e fargli dono della consolazione del Signore:
“Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione
perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione
con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2 Cor, 1, 3-4).
e) Correzione
La parola di Dio ci insegna che la correzione del prossimo:
• è segno di amore (cfr. Pr 3, 12; 13, 24);
• è doverosa (cfr. Ez 33, 7-9);
• va fatta con saggezza (cfr. Mt 18, 15-18), dolcezza (cfr. Gal 6, 1) e fermezza (cfr. Tt 1, 13);
• è meritoria (Gc 5, 19-20).
“Ammonire i peccatori” è la terza opera di misericordia spirituale.

4. Il sacrificio
Come Gesù ci ha procurato il bene spirituale della remissione dei peccati e della comunione con Dio per mezzo del sacrificio della Croce, così noi, Suoi discepoli, dobbiamo collaborare al bene spirituale del nostro prossimo anche con la sofferenza. Il bene spirituale non è un frutto diretto e specifico della sofferenza: nasce dall’amore che, per mezzo della sofferenza, è reso più gratuito, costoso e forte. La sofferenza diventa mezzo di carità spirituale nel momento in cui il discepolo di Cristo:
• accoglie la propria sofferenza con la certezza di fede che Dio può e vuole ricavarvi un maggior bene;
• offre a Dio il proprio abbandono filiale, che è amore autentico e provato, con l’intenzione-preghiera che Lui lo trasformi in benedizione per il prossimo.
Il sacrificio vissuto come carità spirituale può assumere la forma di:
a) Pazienza
Si tratta cioè di offrire a Dio, per il bene del prossimo, tutte le tribolazioni della vita – corporali, psichiche e spirituali – con particolare riguardo alle difficoltà nelle relazioni interpersonali: “sopportare pazientemente le persone moleste” è la sesta opera di misericordia spirituale.
b) Perdono
Colui che è offeso si duole più per l’offesa fatta a Dio e per la colpa dell’offensore che per il proprio danno, e, rinunziando alle esigenze della giustizia e lottando contro l’amor proprio, prega il Signore di usare misericordia al colpevole, e di accreditare a suo beneficio il bene spirituale meritato con il perdono. “Perdonare le offese” è la quinta opera di misericordia spirituale.
c) Penitenza
In questo caso il sacrificio è scelto liberamente, sotto forma di mortificazioni particolari, interne e/o esterne (ad es. digiuno, veglia, silenzio).
d) Consacrazione
E’ la forma più generosa ed esigente di carità spirituale perché chi si offre a Dio gli chiede di operare uno scambio in modo che gli venga data la sofferenza – fisica e/o spirituale – del prossimo, e a questi venga accordato il bene spirituale (o il bene terreno che favorisca il bene spirituale) che non sa o non vuole cercare.
Santa Caterina venne a conoscere dal Signore che suo padre Giacomo, che stava per morire, doveva passare in Purgatorio. La vergine “lottò” a lungo nella preghiera con il Signore per ottenere al padre la grazia di andare direttamente in paradiso:
Infine, dopo tanto insistere, la vergine disse: «Se non si può ottenere la grazia senza salvare in qualche modo la giustizia, si faccia giustizia sopra di me, che per mio padre sono disposta a sopportare qualunque pena stabilita dalla tua bontà». Il Signore la prese in parola, e disse: «Sicuro, per l’amore che mi porti, accetto la tua domanda, e libererò da tutte le pene l’anima del tuo babbo: ma tu, finché vivrai, sopporterai per lui le tribolazioni che ti manderò». […] Nel medesimo istante che l’anima di Giacomo uscì dal corpo, la vergine si sentì oppressa da un dolore ai fianchi, che portò per tutta la vita (Beato Raimondo da Capua, Legenda maior, 221).
Così pregava Santa Faustina Kowalska:
O Gesù, quanto mi fanno pena i poveri peccatori! O Gesù, concedi loro il pentimento ed il dolore; ricordati della Tua dolorosa Passione. Conosco la Tua infinita Misericordia. Non posso sopportare che un’anima, che a Te è costata così tanto, debba perire. O Gesù, dammi le anime dei peccatori! La Tua Misericordia si posi su di loro. Prendimi tutto, ma dammi le anime. Desidero diventare una vittima sacrificale per i peccatori (Diario, 326).

Conclusione
Per esercitare la carità spirituale il cristiano deve avere:
• una fede robusta per discernere la priorità e l’urgenza del bene spirituale di tutti e di ciascuno;
• un amore generoso che arde per la salvezza del mondo e la gioia di Dio.

Info su Padre Domenico Maria Fabbian

Nato nel 1951, alunno del Seminario di Padova per 10 anni (1962-1972), laureato in medicina nel 1982. Monaco dal 1989, ordinato sacerdote nel 1994 e consacrato eremita nel 2000.
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Una risposta a La carità spirituale

  1. Carlo scrive:

    Ringrazio di cuore per le parole semplici e profonde che ravvivano la fede

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