Vincere la tiepidezza

VINCERE LA TIEPIDEZZA

(P. Domenico Maria – eremita)

Lectio su Ap 3, 14-22

INTRODUZIONE

1. Ci proponiamo di riflettere insieme su questa malattia spirituale – la tiepidezza –, sulle cause che la determinano e sui rimedi da adottare per prevenirla e curarla, perché è un tema attuale e che ci interpella tutti. Infatti:
• per essere discepoli di Cristo non basta la scelta di un momento o l’impegno di un tempo particolare: è necessaria la fatica quotidiana di tutta la vita: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23); questo cammino lungo e faticoso, facilmente logora e fa perdere vigore spirituale;
• è difficile perseverare con zelo nel bene in un mondo in cui il male non solo abbonda, ma è anche giustificato: «Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà» (Mt 24, 12).

2. Questo insegnamento ha la forma di una Lectio divina per trasmettere già, non solo come idea ma anche come esperienza, l’importanza del nutrimento della Parola di Dio per ritrovare e custodire il fervore spirituale, secondo l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24, 32).

3. Possiamo definire così, in modo essenziale, la Lectio divina:
• è una lettura: «Chiamo lectio divina la lettura di una pagina biblica, che tenda a diventare preghiera e a trasformare la vita» (Card. Carlo Maria Martini);
• è divina perché:
o l’oggetto della lettura è la parola di Dio, da Lui ispirata e quindi realmente divina;
o la lettura deve essere fatta sotto l’azione dello Spirito di Dio che, essendo l’autore che ha ispirato la Sacra Scrittura, è anche l’unico che ne può garantirne l’autentica interpretazione;
o ha come fine quello di portare il discepolo che prega la Parola a realizzare la sua vocazione di diventare partecipe della vita divina.

4. L’insegnamento è articolato in cinque sezioni, che corrispondono alle tappe fondamentali della Lectio divina: LETTURA (I), MEDITAZIONE (II), ORAZIONE (III), CONTEMPLAZIONE (IV) E TESTIMONIANZA (V).

I. LA LETTURA

Nel momento della lettura è necessario applicarsi diligentemente al testo per arrivare a capire cosa Dio ha voluto dire all’autore ispirato: è la ricerca del senso letterale.

Testo
14All’angelo della Chiesa di Laodicea scrivi:
Così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio:
15Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo!
16Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.
17Tu dici: «Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla»,
ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.
18Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco,
vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità
e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista.
19Tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti.
20Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta,
io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.
21Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono,
come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono.
22Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese (Ap 3, 14-22).

Contesto
Il brano è tratto dal libro dell’Apocalisse (gr. rivelazione), l’ultimo libro della Bibbia, che ha come obiettivo quello di illuminare, confortare ed esortare le comunità cristiane travagliate dalla persecuzione dell’imperatore romano Domiziano (81-96 d. C.). L’apostolo Giovanni è esiliato nell’isola di Patos a causa del Vangelo; una domenica gli appare il Signore risorto che gli affida sette messaggi per sette chiese dell’Asia minore (attuale Turchia); l’ultimo messaggio è quello per la Chiesa di Laodicea, il testo che stiamo esaminando.

Note esegetiche (l’esegesi è la scienza che ricerca il significato delle parole e dei testi)
Si tratta di mettere in evidenza quei termini e quelle espressioni il cui significato non è chiaro, oppure è particolarmente prezioso per cogliere il messaggio del testo.
v. 14
• angelo della Chiesa: è il responsabile della comunità cristiana, o la comunità cristiana personificata;
• Testimone: (gr. martus) Gesù è il testimone di Dio per eccellenza, e noi Suoi discepoli siamo chiamati ad essere testimoni, anche quando il prezzo si fa caro (martirio, nelle sue varie forme).
v. 16
tiepido: (gr. kliaròs: nella letteratura extra biblica non indica una via di mezzo tra il caldo e il freddo, ma un calore minimo vicino al freddo) è l’aggettivo (compare solo in questo versetto del NT) che sintetizza la “diagnosi” del Signore sulla comunità cristiana di Laodicea; il versetto successivo 17b esplicita tale diagnosi con una serie incalzante di cinque aggettivi: infelice, miserabile (mendicante), povero, cieco e nudo;
vomitarti: questo verbo esprime una incompatibilità (quasi fisica) tra Dio-Amore e l’uomo tiepido, e un disgusto morale.
v. 17
Tu dici: «Sono ricco»: è la conoscenza illusoria dell’uomo tiepido.
v. 18
• Ti consiglio: il Signore prende l’iniziativa per rimediare al problema della tiepidezza;
• comperare: la salvezza non è totalmente gratuita; il dono gratuito di Dio in Cristo, deve essere cercato e almeno accolto;
• da Me: solo in Cristo c’è la nostra liberazione-guarigione-salvezza; Lui vende: oro, vesti e collirio.
v. 19
Amo: è l’amore divino di Cristo l’unica medicina efficace per guarire la nostra tiepidezza.
v. 20
• sto alla porta: il Signore è vicino, è disponibile ora, subito!
• busso: il Signore ha nei nostri confronti un atteggiamento deciso (sa quello che vuole, il nostro bene, il nostro fervore nell’amore) e nello stesso tempo rispettoso: entra nel nostro cuore solo se gli apriamo;
• se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta: il Signore chiede una accoglienza nuova;
• verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me: il Signore promette una nuova relazione d’amore.
v. 21
Il vincitore: per ottenere la vittoria bisogna vincere una guerra, mettere cioè sul conto il combattimento spirituale.
v. 22
ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: attraverso questo testo, è lo Spirito Santo che ci parla, oggi.

Associazioni
Leggendo il testo, possono venire in mente altri passaggi dell’Apocalisse o di altri libri della Bibbia, che aiutano a capire il senso; eccone alcuni per il nostro brano:
• Così parla l’Amen (v. 14): «Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu “sì” e “no”, ma in lui c’è stato il “sì”. E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute “sì”. Per questo sempre attraverso di lui sale a Dio il nostro “Amen” per la sua gloria» (2 Cor 1, 19-20). Commento: «In ebraico, Amen si ricongiunge alla stessa radice della parola credere. Tale radice esprime la solidità, l’affidabilità, la fedeltà. Si capisce allora perché l’Amen può esprimere tanto la fedeltà di Dio verso di noi quanto la nostra fiducia in lui» (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, 1062). Gesù risorto che si presenta all’apostolo Giovanni come Amen, è come se dicesse: «Io sono colui che ha fatto tutta la volontà del Padre, Io sono colui che vi ama per sempre». E voi?
• Conosco le tue opere (v. 15): «Più fallace di ogni altra cosa il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per rendere a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni» (Ger 17, 9-10); solo il Signore ci conosce profondamente e veramente. Per conoscere quello che abbiamo nel cuore, dobbiamo ascoltare il Signore, confrontarci continuamente con la sua Parola. Altrimenti diventiamo ciechi.
• Sei tiepido (v. 16): «Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà» (Mt 14, 12); l’amore regredisce per la poca disponibilità a soffrire a motivo di una testimonianza controcorrente e/o per la seduzione del cattivo esempio della maggioranza.
• Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco (v. 18): «Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3, 11); solo Gesù ci dona lo Spirito Santo che purifica il bene più prezioso che ci rende veramente ricchi agli occhi di Dio: la capacità di amare. Ma noi pretendiamo di amare a modo nostro!
• Non ho bisogno di nulla (v. 17): «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5); l’unico vero problema della vita cristiana, è vivere continuamente innestati in Cristo, in comunione con Lui, in pensieri, desideri, parole ed azioni.
• Mostrati dunque zelante: «Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace» (Ef 6, 13-15); chi è tiepido, ha una fede che a malapena sopravvive, mentre il Signore vuole che siamo testimoni generosi, coraggiosi e forti per combattere ogni forma di male, a incominciare da noi stessi e per trasmettere la verità e la grazia del Vangelo che abbiamo ricevuto nella Chiesa.
• Cenerò con lui ed egli con me (v. 20): «Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: Resta con noi, perché si fa sera e il giorno già volge al declino. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24, 28-32); come per i discepoli di Emmaus, anche per noi la Parola di Dio alimenta l’amore per Cristo, e Lui si fa nostro ospite nell’Eucaristia. Il Signore, che è misericordioso, è sempre disponibile ad aiutarci nella conversione, e dalla tiepidezza che Lo provoca al vomito (intolleranza-repulsione) ci fa passare all’amore grazie al quale Lui diventa nostro ospite, nostro cibo (Comunione eucaristica).
Grazie a questi accostamenti spontanei (favoriti dall’azione dello Spirito Santo e dalla familiarità personale con le Scritture, ottenuta grazie ad una lettura quotidiana ed integrale della Bibbia: Lectio corsiva) la Scrittura – come dicevano i Padri – diventa interprete di se stessa, e cioè si spiega la Scrittura utilizzando la stessa Scrittura.

Messaggio
Dalla lettura attenta del testo possiamo ricavare questo primo messaggio: il Signore non è contento di noi, ci mostra quello che non va (lo chiama tiepidezza), ci chiede un impegno nuovo, non ci nasconde che ci sarà da lottare, ma ci assicura che Lui è con noi, per cui saremo vincitori e condivideremo l’intimità della sua amicizia, per sempre.

II. LA MEDITAZIONE

Se con la Lettura (I) ci siamo applicati al testo per capire quello che Dio ha voluto dire per mezzo dell’autore ispirato nel momento in cui il testo ha preso forma, con la meditazione passiamo ad applicare il testo a noi che lo leggiamo-preghiamo oggi, per capire quello che il Signore ci vuole dire oggi, con questa pagina ispirata. Questa Parola scritta che esiste già da duemila anni, diventa parola ispirata per noi oggi, diventa profezia per la nostra vita grazie al dono dello Spirito che ha ispirato la Parola e che, scrutando i nostri cuori, sa quello che noi abbiamo bisogno di capire oggi, per crescere nella fede e nell’amore di Cristo. Se con la Lettura abbiamo cercato il senso letterale (sintetizzato sopra nel “Messaggio”), con la Meditazione cerchiamo il senso spirituale, che a sua volta può essere distinto in:
• senso allegorico: cercare in ogni parte della Scrittura una rivelazione di fede che conduce in definitiva a Cristo;
• senso morale: trovare quali comportamenti, quale conversione continua mi chiede la Parola;
• senso escatologico: scoprire cosa mi dice il testo sulle cose “ultime” (gr. èskatos: ultimo), riguardanti cioè la nostra vita definitiva, dopo la morte; questo senso è detto anche anagogico (gr. anàgo: conduco in alto), riguardante cioè le cose che ci aspettano in Cielo.
Poiché non è possibile – e neanche utile spiritualmente: sarebbe dispersivo – seguire tutte le piste emerse nel corso della Lettura, ci concentriamo sulla tiepidezza (v. 16), come viene esplicitata dagli aggettivi del v. 17. Consideriamo la tiepidezza come una malattia spirituale e ci chiediamo in che cosa consista e come possa essere curata e prevenuta (le ricadute sono purtroppo frequenti, dopo la guarigione).
Poiché la vita spirituale è costituita dall’«amore di Dio effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Rm 5, 5), la tiepidezza è un amore che ha perso di intensità, di prontezza, di generosità e di perseveranza; è il rimprovero che il Signore fa anche alla Chiesa di Efeso: «Ho da rimproverarti che hai abbandonato l’amore che avevi all’inizio» (Ap 2, 4). Vediamo ora le cinque componenti dell’amore tiepido.

1. La cecità
L’amore cristiano ha bisogno di vedere con gli occhi di Dio, di conoscere con la luce e la sapienza dello Spirito Santo. «Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo Spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito» (1 Cor 2, 9-14).
Noi diventiamo ciechi quando invece di ascoltare lo Spirito Santo seguiamo la voce delle creature: il nostro modo di pensare, o quello di altre creature.
Il rimedio? Nutrirsi e difendersi quotidianamente con la Parola di Dio, assimilata con l’unzione dello Spirito (il «collirio» del v. 18):
«Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 118, 105).
«Tenete sempre in mano lo scudo della fede e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio» (Ef 6, 16-17).

2. La povertà
L’amore di un cristiano è povero quando desidera, cerca e possiede le cose di questo mondo, preferendole a Dio, che è il nostro unico sommo bene. «Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona» (Mt 6, 24).
Come capire qual è il tesoro che ci sta veramente a cuore? Lo possiamo capire con facilità e senza inganni se consideriamo quello che abitualmente pensiamo, «perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6, 21).
Gesù parla sul serio quando dice: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me» (Mt 10, 37).
San Cipriano, vescovo di Cartagine (200-258), ci spiega perché Gesù ha diritto ad essere amato così: “Non anteporre assolutamente nulla a Cristo, perché lui non ha anteposto nulla a noi” (SAN CIPRIANO, La preghiera del Signore, 15, CSEL 3/1, 276).
Il rimedio? Coltivare il nostro amore per il Signore. Come?
• trovando tempo per Lui (preghiera quotidiana);
• compiendo in tutto la Sua volontà, in particolare aiutando chi è più povero di noi, materialmente e spiritualmente.

3. La miseria
Un cristiano è totalmente privo del vero amore di Dio – e quindi, al di là delle apparenze, è incapace di provvedere a sé e agli altri – quando conta unicamente sulle proprie capacità: «Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 4-5). Si tratta di “nulla”, anche se le apparenze sono ammirevoli ed ammirate.
Il rimedio? Unirsi intimamente a Cristo grazie all’Eucaristia, così da poter dire con san Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20). In secondo luogo contare continuamente sull’aiuto dello Spirito Santo, perché la nostra vocazione è sicuramente al di sopra delle nostre forze umane: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio» (Mc 10, 27).

4. La nudità
Un cristiano cade in una situazione «vergognosa» (v. 18) quando è spogliato della sua amicizia con Dio dal peccato mortale: «Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: Dove sei? Rispose: Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo e mi sono nascosto» (Gen 3, 9-10). Ma anche il peccato veniale – per chi comprende l’intrinseca malizia di ogni “no”, anche piccolo, detto all’amore generoso e folle che Dio ha per noi – fa perdere al cristiano parte della bellezza e della dignità di figlio di Dio di cui è stato rivestito nel Battesimo. Ed è un modo meschino di essere cristiani quello di vivere limitandosi ad evitare i peccati mortali, senza mettere il massimo impegno a progredire nella santità dell’amore, lottando contro le varie forme di peccato veniale.
Il rimedio?
• Accettare dal Signore rimproveri e castighi finalizzati alla conversione (v. 19).
• Confidare nell’infinita pazienza e misericordia di Dio: «Sto alla porta e busso» (v. 20).
• Fare ritorno a casa come il figlio prodigo e accettare dal Padre – al di là di ogni attesa e merito – «il vestito più bello» (Lc 15, 22).
• «Lavare le proprie vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello» (Ap 7, 14), nel Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, celebrato almeno mensilmente.

5. L’infelicità
Poiché la nostra felicità si compie se realizziamo il nostro bene, e poiché il nostro bene consiste nel raggiungere il fine per il quale siamo stati creati (SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Ia, q. 5, a. 4), e questo fine è la comunione con Dio-Amore (Ef 1, 3-5. 13-14), e questa comunione si compie nell’obbedire a Dio per amore, noi possiamo essere felici solo se obbediamo a Dio, in particolare accogliendo il Vangelo di Cristo. Il peccato ha complicato le cose perché spesso il bene che Dio ci comanda ci sembra pesante, mentre il male che ci viene proposto dal Maligno o dal mondo, ci sembra vantaggioso e piacevole.
Il rimedio?
• Fare attenzione all’esperienza, che non inganna: «Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia, più che in ogni altro bene» (Sal 118, 14).
• Rinnegare l’amor proprio (Mt 16, 24) e seguire Gesù sulla via delle beatitudini, in particolare nella mitezza (Mt 5, 5, 5), nella misericordia (Mt 5, 7), nella gratuità (Lc 14, 14) e nel servizio (Gv 13, 14-17).

La Meditazione realizza un rapporto profondo e duraturo con la Parola di Dio, e questa, proprio perché è parola di Dio, trasforma il mio modo di vedere e di agire, cambia qualcosa nella mia relazione con Cristo: «Se rimanete nella mia parola, voi siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31-32).

III. L’ORAZIONE

La Parola di Dio, che grazie alla Meditazione è diventata una parola diretta a me personalmente, richiede una mia risposta, che si attua nell’Orazione, cioè in un dialogo con il Signore.
Perché questo mio parlare al Signore sia autentica preghiera, e cioè “una relazione viva e personale con il Dio vivo e vero” (CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA, 2558), è necessario che io mi rivolga al Signore tenendo conto di quello che:
• Lui mi ha detto con la Sua Parola, in modo che la mia risposta sia coerente e pertinente con quello che Lui mi sta rivelando e chiedendo;
• Io sto vivendo, perché la preghiera diventi un’esperienza nella quale la mia vita si trasfigura.
Frutto dell’Orazione è una relazione rinnovata con il Signore.

IV. LA CONTEMPLAZIONE

Più che le altre tappe della Lectio divina, la Contemplazione è dono dello Spirito Santo (Rm 8, 26). È utile sapere, per discernere e per collaborare con la grazia, che l’Orazione diventa Contemplazione quando:
• al discorso subentra l’intuizione, alle parole lo sguardo d’amore silenzioso e riconoscente;
• alla ricerca e alla fatica subentrano il riposo e la pace;
• al desiderio di trovare l’Amato subentra l’esperienza dell’unione con Lui.

V. LA TESTIMONIANZA

“Chi medita la legge del Signore, porta frutto a suo tempo” (LITURGIA DELLE ORE, Quaresima – Ufficio delle letture, Giovedì dopo le Ceneri). Il Signore mi dona con abbondanza la sua Parola perché, dopo averla accolta nel mio cuore, diventi nella mia vita come un seme che produce il suo frutto (Mt 13, 3-8. 23).
Il frutto di questa Lectio, deve essere l’impegno di coltivare un amore nuovo:
• nutrito e illuminato dalla Parola;
• deciso a mettere per davvero il Signore prima di ogni altra creatura;
• umile e fiducioso più nella grazia dello Spirito Santo che nelle proprie risorse umane;
• disposto a faticare e a soffrire per il Signore;
• desideroso di vivere una profonda amicizia con Cristo;
• capace di lottare contro l’amor proprio e di servire con generosità.

SIA LODATO GESÙ CRISTO!

Info su Padre Domenico Maria Fabbian

Nato nel 1951, alunno del Seminario di Padova per 10 anni (1962-1972), laureato in medicina nel 1982. Monaco dal 1989, ordinato sacerdote nel 1994 e consacrato eremita nel 2000.
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